(New York 1904 – Stamford 1971)
Non è da tutti avere una vita intensa e avventurosa come quella che è toccata a Margaret Bourke-Withe. E’ stata la prima in tante cose: è stata la prima donna a fare la corrispondente di guerra, la prima donna ad essere assunta dalla rivista Life. E’ stata anche la prima straniera (ma questo primato è assoluto, non perché donna) a poter fotografare in Unione Sovietica, e questo in un momento fondamentale della storia mondiale, nel 1941, all’inizio dell’invasione nazista dell’Urss. Fu così testimone dell’assedio di Mosca, ed ebbe il privilegio di scattare il primo ritratto non ufficiale di Giuseppe Stalin, insolitamente sorridente e bonario: foto famosissima, resa possibile, sembra, grazie ad una raccomandazione del presidente Roosevelt, che divenne una copertina di Life, una delle tante che ha fatto nella sua carriera.
Margaret Bourke-White aveva iniziato a fotografare molto giovane, da quando fece un corso nel college dove si era iscritta per laurearsi in biologia. E aveva solo 25 anni quando le venne offerto di collaborare a una nuova rivista illustrata, Fortune. In quegli anni lei si dedicò principalmente al mondo industriale, connotandosi per uno stile modernissimo per l’epoca. Se si riguardano le immagini di quel periodo, si vedono operai che maneggiano enormi chiavi inglesi per serrare bulloni altrettanto grandi; macchinari immensi pieni di ruote dentate; gigantesche condutture per deviare il fiume Missouri, con dentro gli uomini impegnati alla loro costruzione che sembrano formichine. Il tutto raccontato con un bianco e nero deciso, molto contrastato, epico, e con la sottolineatura delle geometrie e la sovrapposizione dei piani. I critici dicono che dovette molto, per il suo stile, al cinema espressionista russo e tedesco, ed in effetti molte sue foto fanno venire alla mente alcune inquadrature di Eisenstein o di Fritz Lang.
Erano gli anni della Grande Depressione, e Margaret Bourke-White raccontò l’America impoverita, ma anche il grande sforzo per uscire dalla crisi. Ecco quindi la fila di disoccupati in attesa di ricevere un pasto gratis sotto un enorme cartellone che inneggia al modello di vita americano con l’immagine della famigliola felice in automobile, ma di contro le realizzazioni del New Deal di Roosevelt. La foto simbolo di questa riscossa è stata quella che ritraeva la diga di Fort Peck, nel Montana, appena finita di costruire per rilanciare l’economia di una delle zone più povere degli Stati Uniti. Una foto che divenne la sua prima copertina per Life.
Ed è con questa rivista prestigiosa che Margaret Bourke-White divenne corrispondente di guerra. Seguì la Seconda Guerra Mondiale da diversi fronti, da Mosca al Nord Africa, alla Linea Gotica in Italia, fino in Germania, dove fotografò, il giorno dopo la liberazione, gli internati del campo di concentramento di Buchenwald.
Foto dure, come lo sono state poi quelle della guerra di Corea o quelle scattate in India nella drammatica e feroce fase di divisione tra indù e musulmani. E sono di quel periodo i suoi ritratti al Mahatma Gandhi, assorto nella lettura accanto all’arcolaio, simbolo della ribellione indiana alla colonizzazione britannica, ma anche di Muhammad Alì Jinnah, il fondatore del Pakistan.
Di ritratti per le copertine di Life ne ha fatti tanti altri, da Franklin Delano Roosevelt a Stalin, da Winston Churchill al generale Patton.
Solo una malattia terribile poteva fermare questa donna che per giorni era stata isolata nell’artico dopo un atterraggio di fortuna o che, in piena guerra, passò una notte e un giorno su una scialuppa di salvataggio dopo che la nave che la stava portando in Nord Africa era stata silurata e affondata. Nel ’53 le fu diagnosticato il morbo di Parkinson, ma lei continuò a lavorare, fino al ’59, quando la malattia la costrinse a gettare la spugna.