PIERRE GONNORD
(Cholet 1963)
Fin dal più remoto passato, il ritratto è stato un lusso a cui i potenti non hanno mai voluto rinunciare. Forse perché un modo per esorcizzare la morte e l’oblio, tantissimi personaggi si sono sottomessi alla tortura delle lunghe pose per lasciare ai posteri i tratti del loro viso. Con la fotografia, il piacere di avere un proprio ritratto non è stato più appannaggio di papi e di re, o comunque di gente che aveva il denaro sufficiente per commissionare un ritratto ad un pittore più o meno celebre. Per molto tempo è rimasto comunque un lusso, sia pure più modesto e alla portata anche di piccoli borghesi. Pierre Gonnord ha invece voluto immortalare anche gli ultimi, coloro che sono emarginati e che non avrebbero mai soldi da buttare per questo piacere narcisistico. Ed è l’unica differenza, perché i ritratti di Gonnord hanno la stessa eleganza, l’identica nobiltà dei quadri di un tempo.
Nato a Cholet, in Vandea, a 25 anni Gonnord lascia la Francia per trasferirsi in Spagna, dove diventa da autodidatta un fotografo. I primissimi piani diventano il suo modo di intendere la fotografia come una forma d’arte. Scova volti interessanti ovunque, in Europa, ma anche in altri continenti, e li mette in posa, con una luce radente che rende tridimensionali i tratti del viso ed esalta l’incarnato. I critici hanno paragonato le sue fotografie alle opere di Rembrandt, di Velasquez, di Diego Rivera, e infatti è evidente l’influenza che questi grandi hanno avuto in Gonnord nel modo di concepire il ritratto. Anche se, scorrendo le sue immagini, possono venire alla mente tanti altri giganti della pittura. C’è ad esempio il ritratto di una giovane con un fazzoletto azzurro in testa che fa subito venire alla mente la “ragazza col turbante” di Jan Vermeer, e certi suoi volti maschili, dai tratti rozzi (facce da contadini, verrebbe da dire), ma dagli occhi penetranti e volitivi, ricordano Antonello da Messina. Che dire poi delle donne che tengono in braccio un bambino, qualche volta attaccato al seno, che sembrano quelle Madonne che Caravaggio scovava nelle strade più sordide di Roma.
Nelle foto di Gonnord i richiami ai classici sono una costante, sono voluti, scoperti. Ma quello che più colpisce è la sua capacità di ottenere questo risultato anche quando ha davanti dei modelli che sono ben lontani dalla perfezione estetica. Alcuni volti sono addirittura deformi, che avrebbero fatto la gioia di Lombroso, eppure davanti all’obiettivo di Gonnord acquistano una misteriosa bellezza, gli occhi sembrano trasmettere la ricchezza d’animo che c’è in loro. Al contrario, i simboli della ricchezza e del potere vengono derisi, svelati nel loro essere effimeri. Come quella ragazza tutta vestita di nero, che sembra un dipinto fiammingo, salvo poi accorgersi che sul capo non porta una cuffia di merletto, bensì un banale sacchetto di plastica del supermercato.