WILHELM VON GLOEDEN
(Wismar 1856 – Taormina 1931)
E’ passato un secolo da quando furono scattate, ma le fotografie di Wilhelm von Gloeden, nonostante la loro patina di antico color seppia, continuano a dividere. Immagini all’insegna dell’erotismo artistico o pornografia? Il loro autore era un sensibile amante della classicità o solo un pedofilo? Andò a vivere in Sicilia per seguire le orme di Goethe fin lì dove nascono i limoni, o era semplicemente un riccone alla ricerca di ragazzini come fanno ai giorni nostri quelli che vanno in Thainlandia per fare del turismo sessuale? Probabilmente tutte queste cose insieme.
Aveva solo 22 anni quando il barone tedesco Wilhelm von Gloeden decise di lasciare la sua città sulle rive del Baltico, Wismar, per andare in Italia. Apparteneva alla piccola aristocrazia, ma era abbastanza ricco da potersi permettere di viaggiare senza dover lavorare. Certo ha aiutato il fatto che la madre, rimasta vedova, si era sposata in terze nozze con un altro barone, von Hammestein, che vantava una parentela addirittura con il Kaiser Guglielmo II. Il patrigno si prese cura del giovane: gli fece studiare storia dell’arte a Rostock e poi lo fece entrare nell’Accademia di Weimar.
Forse anche perché ammalatosi di tubercolosi, nel 1878 il giovane baronetto partì per l’Italia, ma una molla importante deve essere stata la sua omosessualità, che in Germania era un reato pesantemente punito con il carcere e la perdita dei diritti civili. In Italia era invece abbastanza tollerata, tanto da essere depenalizzata dal codice Zanardelli del 1889.
Sulle orme del Grand Tour di Goethe, visitò Roma, Capri, Napoli, per approdare infine in Sicilia, a Taormina, dove era stato invitato a trascorrervi la convalescenza dal pittore Ottone Geleng. Restò invece a Taormina fino alla morte, nel 1931, salvo una parentesi di tre anni durante la Grande Guerra, quando, per ovvii motivi, tornò in Germania finché durò il conflitto.
Fu in Sicilia che si avvicinò alla fotografia, e questo grazie ad un cugino, Wilhelm Pluschov, che era un attivo fotografo, e ad un aiuto fotografo di Taormina, Giovanni Crupi, che gli insegnò i rudimenti tecnici. Importante fu anche l’amicizia con il pittore Paolo Michetti, che gli fece conoscere diverse personalità della cultura italiana (tra gli altri, Gabriele D’Annunzio e Matilde Serao) e che, soprattutto, lo spronò a insistere con la fotografia.
I suoi soggetti preferiti erano i ragazzi, che fotografava nudi, in pose classiche, come se fossero personaggi cantati da Eschilo o da Pindaro. Fotografava anche i contadini del posto o bellissimi paesaggi di quelle parti. Molti anni dopo, nel 1908, fu uno dei pochi a documentare il disastroso terremoto di Messina. Ma furono gli efebi che avvicinava a Taormina a renderlo noto in Italia e all’estero. Aprì uno studio fotografico per farne il suo hobby e riuscì a esporre le sue fotografie a Londra.
La sua omosessualità non gli creava problemi. La gente del luogo lo aveva accolto bene, anche perché grazie a lui circolava parecchio denaro in quei luoghi poverissimi. E sempre grazie a lui, Taormina si rafforzò come meta turistica. Vennero a trovarlo Oscar Wilde, che aveva lasciato l’Inghilterra per far calmare le acque dopo aver rischiato la galera per una relazione con un giovinetto, e il “re dei cannoni”, Friedrich Alfred Krupp, quello che viveva a Capri e che fece costruire la stradina che scende fino al mare e che porta il suo nome.
Nel 1895, il patrigno venne travolto da uno scandalo che gli costò la galera e l’esproprio di tutti suoi beni. Von Gloeden fu quindi costretto a trasformare il suo hobby in un vero lavoro. Stampava delle cartoline con le immagini dei suoi giovinetti, con i quali divideva poi i proventi con ammirabile onestà. Foto pieni di carica erotica, ma che potevano circolare per il loro impianto classicheggiante, rifacendosi sia a modelli antichi sia a quelli più recenti: è il caso, ad esempio, della foto del ragazzo seduto su delle rocce che von Gloeden intitolò “Caino”, ma che è chiaramente ispirato al quadro di Hippolyte Flandrin, “Giovane uomo nudo seduto in riva al mare”, che si può ammirare al Louvre di Parigi. Spesso fotografava gruppi di ragazzi, che come in una scena teatrale apparivano sembravano personaggi di un’antichità idealizzata, all’insegna della bellezza dei corpi e della grazia delle pose. Tutto al maschile, anche quando riproduce “le tre Grazie”. E se inserisce un elemento femminile, è facile vedere che si tratta di un efebico fanciullo travestito da donna.
I critici sottolineano la perfezione tecnica delle foto di von Gloeden, che usava sapientemente la luce anche con l’ausilio di speciali filtri, e che cospargeva i suoi modelli di olii da lui creati per rendere ancor più belli e “classici” i loro corpi. In tutte le sue foto è evidente una forte carica erotica, i nudi sono sfacciati, ma mai si trovano immagini con atti sessuali, esplicitamente pornografiche.
Se l’omosessualità non gli creava problemi nei suoi rapporti con la popolazione locale e neppure con le autorità civili, non tutti però accettavano il suo stile di vita. Gli attacchi venivano da parte della Chiesa, ma anche dei socialisti che vedevano in von Gloeden come in Krupp dei capitalisti viziosi che si approfittavano della miseria del Sud Italia per traviare i suoi giovani. Gli attacchi ebbero un effetto devastante su Krupp, che travolto dallo scandalo si suicidò. Diversa fu la sorte di von Gloeden, che venne preso a bersaglio da un giornalista fiorentino, che si era trasferito a Messina, e che sarebbe poi diventato deputato socialista: Umberto Bianchi. I suoi articoli feroci non solo non ottennero successo, anche perché von Gloeden, a differenza di Krupp, non si fece trascinare nella polemica, ma alla fine fu Bianchi a doversi difendere da tutta la stampa locale che lo accusava di voler diffamare la Sicilia.
Alla sua morte, nel 1931, l’archivio di von Gloeden fu ereditato dal suo assistente, Pancrazio Buccioni. Due anni dopo, un processo per pornografia portò alla distruzione di mille lastre del fotografo tedesco. Tre anni dopo, altri mille negativi su vetro fecero la stessa fine. Buccioni, che aveva continuato a stampare le foto di von Gloeden e a produrne di sue, simili solo per i soggetti scelti, riuscì infine nel 1941 a ottenere l’assoluzione dall’accusa di detenzione e diffusione di materiale pornografico. Quel che resta dell’archivio di Wilhelm von Gloeden è ora conservato dalla fondazione Alinari a Firenze.