CLAUDIO ABATE
(Roma 1943 – Roma 2017)
E’ morto questa estate, il 3 agosto, Claudio Abate, il fotografo degli artisti. Si è meritato questo appellativo con una vita dedicata ai pittori, agli scultori d’avanguardia e al teatro. Dobbiamo a lui se oggi possiamo parlare di tantissime opere che non erano destinate a durare, che non potevano essere commercializzate.
Lo Zodiaco di Gino De Dominicis o i 12 cavalli di Jannis Kounellis erano delle messinscene, opere effimere che duravano finché era allestita la mostra per cui erano state preparate. Ed è grazie a Claudio Abate che è rimasta memoria di quelle realizzazioni. Ma non si deve pensare a immagini che testimoniano semplicemente un’opera. Abate era apprezzato così tanto perché riusciva in un solo scatto a rendere l’idea che l’artista voleva trasmettere. Lui attraverso il mirino della sua macchina fotografica guardava la creazione artistica con lo stesso occhio del suo creatore, con “una visione affettiva dell’opera”, come l’ha definita il critico Achille Bonito Oliva. Claudio Abate attribuiva questa sua capacità al fatto che da ragazzo, aveva solo 16 anni, frequentava lo studio dello scultore Pericle Fazzini. “In quel modo – racconterà tanti anni dopo – ho iniziato a vivere la scultura. E’ stata un’esperienza che mi ha molto segnato: osservando il punto di vista degli artisti, ho imparato a fotografarla”.
La sua fortuna è stata quella di vivere fin da bambino in Via Margutta, che per decenni è stata la strada dei pittori, degli scultori, delle gallerie, un po’ come è stata Brera per Milano. Rimasto orfano da bambino del padre, fotografo di origine siciliana, già a undici anni Claudio Abate cominciò a lavorare nello studio fotografico di un amico del genitore scomparso, Michelangelo Como. A sedici anni era già pronto a lavorare in proprio, utilizzando lo studio che era del padre. Ed è in quegli anni che, frequentando il Caffè Notegen, in Via del Babuino, la parallela di Via Margutta, conobbe attori come Carmelo Bene, registi come Federico Fellini, pittori come Mario Schifano.
Riuscì a diventare amico di tutti. Con Carmelo Bene faceva coppia fissa in interminabili partire di scopone scientifico (“abbiamo sempre vinto” si vantava ricordando quegli anni). Non c’è quindi da meravigliarsi se Abate si appassionò al teatro, quello d’avanguardia, con gli spettacoli allestiti in teatri ricavati in miseri scantinati, e che per anni fu il fotografo delle piece di Carmelo Bene.
Un altro incontro fortunato, sempre da giovanissimo, è stato quello con Erich Lessing, fotografo della Magnum. “Con lui – ha raccontato Abate – ho imparato a rapportarmi con confidenza al banco ottico, uno strumento straordinario”. E qui è il caso di aprire una parentesi perché per conoscere e soprattutto saper usare il banco ottico non basta essere amici della fotografia, ma è necessario essere dei professionisti, e di quelli molto bravi. Sostanzialmente, il banco ottico è una macchina fotografica molto sofisticata con l’obiettivo che scorre su un binario e che è collegato al corpo macchina da un soffietto, come le macchine fotografiche di un secolo fa. Solo che queste moderne hanno una precisione millimetrica e permettono una messa a fuoco perfetta, eliminando tutte le distorsioni.
Ad Abate piaceva usare mezzi non comuni per fare le sue fotografie. Come quando convinse Giorgio De Chirico a stare fermo un’eternità davanti ad un gran foglio di carta sensibile, con il grande pittore che non capiva cosa stesse facendo. Il risultato è stato una silhouette del grande maestro, inconfondibile. In alcuni casi sono stati gli stessi artisti a chiedere l’intervento di Abate: è stato il caso di Jannis Kounellis, che strinse fra i denti una piccola lastra metallica sulla quale aveva collocato una candela accesa e chiese di essere fotografato così. “E’ una immagine molto precisa. Gli ho fatto altri ritratti, ma quello – ha sostenuto Abate – è uno dei più intensi e rappresentativi della sua ricerca”. E’ il caso di ricordare che questo artista greco trapiantato in Italia era uno dei massimi esponenti della cosiddetta “arte povera”.
Più tradizionali, se così si può dire, le altre bellissime foto fatte nel corso della sua vita a grandi esponenti dell’arte e della cultura italiana, come i malinconici ritratti di Mario Schifano o quelli drammatici e intensi di Carmelo Bene. Di ciascuno di loro, Claudio Abate è riuscito a fotografare non solo le opere artistiche, ma anche la loro anima. E dell’arte d’avanguardia ci ha lasciato una testimonianza preziosa che, a partire dagli anni ’60, copre tre decenni.